MUCIV: PROSEGUE LA PROGRAMMAZIONE DI "APERTI PER LAVORI"

MuCiv - Aperi per lavori Roma, 31 gennaio 2018

Dopo la presentazione delle collezioni orientali del museo Tucci del 21 dicembre 2017, il working in progress “Aperti per lavori” continua con due nuove mostre temporanee "Impressioni d'Africa" e "Città, palazzi e monasteri. Le avventure archeologiche dell'IsMEO/IsAIO in Asia".

Le mostre sono state realizzate nel quadro delle molteplici attività di valorizzazione e promozione del prestigioso patrimonio acquisito dal Museo delle Civiltà che ha accorpato in sé, in base alla Riforma Franceschini, quattro importanti musei romani: Museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”, del Museo delle arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria”, del Museo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”, del Museo dell’arte orientale “Giuseppe Tucci”. Queste mostre sono una delle attività che, sotto lo slogan “Aperti per lavori”, il Museo sta realizzando per garantire al pubblico degli appassionati e degli studiosi la più ampia fruizione dei beni in vista del completamento delle opere per l’ampliamento del Museo nei palazzi dellEUR, con oltre 10.000 mq di nuovi percorsi espositivi e spazi per servizi aggiuntivi. Con “Aperti per lavori” si è voluto soprattutto valorizzare ed esporre i beni appartenenti al Museo nazionale d’arte orientale a soli due mesi dal trasferimento dalla sua sede di Palazzo Brancaccio.


LE MOSTRE

La mostra "Impressioni d'Africa" (Sala Loria del Museo arti e tradizioni popolari) vuole raccontare, attraverso dipinti, sculture e oggetti d'artigianato, le peculiarità di una collezione ricca e particolare, sulla quale le vicende storiche e culturali seguite alla seconda guerra mondiale e alla fine del colonialismo, hanno calato un progressivo e prudente sipario. Il Museo delle Civiltà è impegnato in un percorso di rilettura, divulgazione e presa di coscienza del colonialismo italiano e della storia dell’ex Museo coloniale, al fine di rompere il silenzio, rendere nuovamente fruibili le collezioni coloniali e testimoniare complesse vicende storiche condivise tra l’Italia e Paesi ex colonie. Le collezioni di quello che fu il Museo Italo-Africano di Roma consistevano in un numero assai elevato di oggetti, tra cui diverse migliaia di carattere etnografico e centinaia di carattere militare ed economico, testimonianze della storia italiana in Africa, delle conquiste, dei rapporti con le popolazioni locali, delle produzioni agricole e artigianali preesistenti alle conquiste coloniali e poi inglobate nell’economia nazionale. 

A testimonianza della contemporanea presenza in Africa settentrionale di importanti campagne di scavo archeologico italiane, parte cospicua della mostra è dedicata alla documentazione delle rovine di Leptis Magna, presentate attraverso il prezioso plastico realizzato all’inizio degli anni Trenta direttamente sul sito archeologico libico e accompagnate da fotografie d’epoca, incisioni e dipinti che raccontano le vicende relative allo scavo e la grande suggestione che scaturì dalla scoperta dell’antica città romana.

MuCiv - Aperi per lavoriQuesta scelta di materiali viene presentata per la prima volta al pubblico dopo l’acquisizione al Museo delle Civiltà della Collezione che fino a qualche anno fa apparteneva all’IsMEO - IsIAO. Il contesto e l’allestimento in cui oggi essa viene proposta al pubblico è certo quello più adatto a farne scoprire e comprendere pienamente l’interesse artistico e tutta la valenza storica e antropologica. Ognuna delle opere esposte costituisce una documentazione insostituibile di un’epoca e di un pensiero sull’Africa che, nonostante il tempo trascorso, riesce a restituire un’esperienza condivisa da moltissimi artisti tra ’800 e ’900, dagli ottocentisti orientalisti come Pompeo Mariani, Augusto Valli, Giorgio Oprandi, Giuseppe Valeri ai più realistici pittori di Colonia, animati dal desiderio di raccontare il quotidiano di quelle terre e di quei popoli senza il velo poetico dei primi, come Eduardo Ximenes, Teodoro Wolf Ferrari, Mario Ridola, Giuseppe Rondini, Milo Corso Malverna.    

La mostra  “Città, palazzi, monasteri. Le avventure archeologiche dell’IsMEO/ IsIAO in Asia” (Sala Dossier del Museo di arti e tradizioni popolari) è dedicata invece ai reperti delle missioni in Pakistan nella Valle dello Swat, in Afghanistan nella regione di Ghaznì e in Iran, nella regione orientale del Sistan. Le ricerche archeologiche furono  condotte dall’IsMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente)  fondato nel 1933 da Giovanni Gentile e dall’insigne tibetologo  Giuseppe Tucci, che già a partire dal 1929 aveva intrapreso una serie di viaggi di studio e di scoperte nella regione himalayana e che nel 1947 assunse la carica di presidente dell’Istituto, dando nuovo impulso alle ricerche archeologiche in Asia. Tra il 1950 e il 1955 vengono condotte diverse spedizioni in Nepal, in particolare nell’area del Karakorum, e della seconda metà degli anni cinquanta solo le felici campagne archeologiche in Pakistan, Afghanistan e in Iran.

L’attività della Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO/IsIAO in Pakistan, iniziata nel 1956 è proseguita  fino a oggi. I primi scavi sistematici vennero condotti nell’abitato di epoca storica di Udegram e nell’area sacra buddhistica di Butkara I, ove furono rinvenuti numerosissimi rilievi in scisto appartenenti all’Arte del Gandhara  aventi come soggetto la vita del Buddha storico. Il sito Shahr-i  Sokht la “città bruciata”, in Iran, è fondamentale per lo studio dello sviluppo culturale nell’Altopiano iranico; la città fu infatti  fu importante per la lavorazione e il commercio a lunga distanza delle pietre semipreziose. I materiali di questo sito, ceramiche, ami, punte di lancia, sigilli, documentano lo sviluppo di un centro urbano proprio nel momento della nascita e della diffusione dell’urbanizzazione nel Vicino Oriente. Infine sono esposti i reperti provenienti da Ghazni, in Afghanistan,  tra questi meritano particolare attenzione soprattutto  i marmi dal  palazzo, scavato dalla Missione Archeologica Italiana tra il 1958 e il 1966 e datato all’XI secolo; oltre ad essere una rara testimonianza dell’architettura palaziale medioevale, il palazzo costituisce, con la sua lunga iscrizione in versi persiani, un esempio di come l’ eredità iranica pre-islamica sia stata recuperata all’interno della comunità musulmana.

 

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